La nevralgia del trigemino è un dolore invalidante che interessa un lato del viso. Si presenta come episodico, tipo scossa elettrica o lancinante, esacerbato da stimoli cutanei come la pressione, la masticazione, lo spazzolamento dei denti, un soffio d’aria o la rasatura.
L’incidenza annuale è di 5,7/100.000 donne e 2,5/100.000 uomini, ed interessa soprattutto una fascia d’età compresa tra i 50 ed i 60 anni.
Nelle forme essenziali, ovvero non associate a patologie secondarie come tumori cerebrali, malattie infiammatorie o demielinizzanti (es: sclerosi multipla), la patogenesi è legata ad un compressione del nervo trigemino da parte di un’arteria (raramente una vena) a livello del punti di emergenza (o di ingresso) del nervo al tronco encefalico.
Inizialmente il dolore risponde in modo eccellente ad un trattamento farmacologico con antiepilettici (come la carbamazepina) od antidolorifici.
Nel 10% dei pazienti, comunque, questo trattamento non risulta efficace. Pertanto, tale gruppo di pazienti è candidato ad un intervento chirurgico. Gli interventi chirurgici possono essere palliativi/distruttivi (radiochirurgia o rizotomie percutanee) o fisiologici/non distruttivi (decompressione microvascolare). E’ consigliabile proporre interventi come la radiochirurgia o le rizotomie in pazienti anziani o con elevati rischi anestesiologici perioperatori. Tuttavia, nei pazienti più giovani l’intervento suggerito è la decompressione microvascolare.
L’intervento consiste nella separazione microchirurgica dell’arteria (o della vena) causa del conflitto dal nervo trigemino nel suo punto di entrata al tronco encefalico, interponendo uno spessore, ad esempio un foglietto in Teflon. L’intervento risolve la nevralgia in più dell’80% dei casi, con un tasso di recidiva a 10–20 anni inferiore al 10% dei casi.
L’aneurisma intracranico consiste in una dilatazione sacciforme o fusiforme di una componente dell’albero vascolare intracerebrale, più frequente nei siti di alterato flusso sanguigno (biforcazioni). La prevalenza nella popolazione generale è stimata intorno al 5%. Tuttavia, l’incidenza di emorragia subaracnoidea correlata alla rottura di un aneurisma cerebrale risulta 8:100.000. Ciò significa che la rottura interessa solo una piccola percentuale degli aneurismi.
L’aneurisma cerebrale raramente è associato a sintomi neurologici. La maggior parte viene scoperta occasionalmente durante indagini di routine. A volte, aneurismi giganti possono manifestarsi con sintomi da effetto massa (cefalea, nausea, vomito, rigidità nucale), mentre aneurismi localizzati in prossimità di nervi cranici possono dar luogo a paralisi dei muscoli oculomotori.
La modalità più comune di presentazione risulta purtroppo quella più dannosa, ovvero l’emorragia cerebrale, più spesso emorragia subaracnoidea. La percentuale di mortalità e morbidità (deficit neurologici postumi) dell’emorragia è molto alta (80%), e solo una percentuale variabile tra il 5 ed il 15% dei pazienti sopravvissuti ritorna alla vita precedente.
I fattori di rischio correlati alla rottura di un aneurisma sono molteplici, in primo luogo dimensioni, morfologia, ipertensione, età, comorbidità, storia familiare, fumo di sigaretta.
Il neurochirurgo indirizzerà il paziente con riscontro di un aneurisma intracranico verso la miglior soluzione: osservazione periodica con imaging (AngioTC, AngioRM, Angiografia cerebrale) oppure trattamento.
Il trattamento di un aneurisma cerebrale può essere di diverso tipo:
La selezione del trattamento viene discussa da un team multidisciplinare (neurochirurgo, neuroradiologo, neurologo specialista in stroke) ed è sempre individualizzata.
I tumori cerebrali possono essere distinti in benigni e maligni, primitivi o secondari. Gran parte dei tumori vengono scoperti occasionalmente, in seguito ad un esame radiologico (Risonanza magnetica, TC encefalo) svolti per sintomi non correlati alla patologia. Altre volte, queste lesioni possono favorire l’insorgere di segni o sintomi come cefalea, nausea e vomito, crisi epilettiche, deficit neurologici sensitivi o motori (paresi o paralisi di un distretto corporeo, formicolii, riduzione della sensibilità), disturbi dell’udito, disturbi della vista, disturbo dell’equilibrio, alterazioni del linguaggio e del comportamento.
Gli esami radiologici gold standard per la ricerca di una patologia intracranica sono la risonanza magnetica con e senza mezzo di contrasto (gadolinio), la TC encefalo e, in alcuni casi, la PET.
Il riferimento al Neurochirurgo risulta indicato al fine di indirizzare il paziente verso il percorso di cura più adeguato, spesso gestito da un team multidisciplinare (oncologo, radioterapista, neuro-oncologo, neurochirurgo, fisioterapista).
La lombalgia o mal di schiena o low back pain è la prima causa di assenteismo sul luogo di lavoro. È una patologia multifattoriale su base organica, conseguenza di alterazioni della statica e della dinamica della colonna vertebrale, infiammazione muscolare, posture incongrue, stile di vita sedentario, specifiche attività lavorative. Il trattamento e la prevenzione, oltre che farmacologici, consistono nel favorire uno stile di vita caratterizzato da periodica attività fisica, volta all’acquisizione di una corretta postura ed al rinforzo della muscolatura addominale e paravertebrale (es. ginnastica dolce, yoga, pilates, addominali). Raramente la lombalgia come sintomo isolato può beneficiare di un trattamento chirurgico, se non associato a patologie organiche di cui sotto (ernia del disco, stenosi del canale lombare, spondilolistesi)
La sciatalgia, comunemente nota come “sciatica”, consiste nel dolore riferito lungo la superficie laterale/posteriore dell’arto inferiore. Può essere invalidante e limitare le consuete attività quotidiane. In gran parte dei casi, può derivare dallo sviluppo di un’ernia del disco, la fuoriuscita della componente gelatinosa del disco intervertebrale con compressione di una radice nervosa. Il gold standard per la diagnosi è la risonanza magnetica del tratto lombo-sacrale.
Altre cause risultano la stenosi del canale spinale associata o meno a spondilolistesi (in questo caso, i pazienti avvertono anche altri sintomi quali la claudicatio neurogena e la diffusione del dolore ad entrambi gli arti inferiori).
L’ernia del disco lombare prevede un trattamento sequenziale.
Nella prima fase, è necessario rimanere a riposo e assumere adeguata terapia farmacologica (FANS, corticosteroidi, miorilassanti, oppioidi) per circa 2-3 settimane.
La maggior parte dei pazienti (60-80%) risolve i suoi sintomi dopo questa fase.
In caso di persistenza del dolore, si può ricorrere a trattamenti locoregionali, come le infiltrazioni epidurali di antinfiammatori, alla fisioterapia o all’osteopatia.
Il trattamento chirurgico dell’ernia del disco viene consigliato nelle seguenti condizioni: mancata risposta alla terapia conservativa; insorgenza acuta di un deficit neurologico motorio/sensitivo associato alla sciatalgia. La chirurgia risulta urgente in caso di sviluppo di sindrome della cauda (ritenzione urinaria e incontinenza fecale, anestesia della regione perineale, debolezza degli arti inferiori fino alla paraplegia). Attualmente, l’intervento denominato microdiscectomia viene eseguito con tecniche mini-invasive con ausilio di microscopio operatorio. Degenza media: 24 ore.
In caso di stenosi del canale lombare, il paziente avvertirà difficolta nella deambulazione con necessità di fermarsi dopo poche decine di metri per intenso dolore irradiato agli arti inferiori (caludicatio neurogena). La patologia consiste in un restringimento del canale spinale, conseguenza di una degenerazione artrosico-degenerativa che interessa i legamenti e le strutture osteoarticolari della colonna vertebrale. Il trattamento farmacologico non sempre è efficace, mentre risulta spesso indicato un intervento di microdecompressione del canale spinale, eseguito con moderni tecniche mini-invasive che garantiscono un immediato recupero funzionale già in prima giornata post-operatoria.
La spondilolistesi consiste nello scivolamento progressivo di una vertebra rispetto all’altra. La causa è sempre su base artrosica, a volte congenita-malformativa, e può essere più o meno associata alla stenosi del canale lombare. Il paziente riferisce claudicatio neurogena spesso associata a lombalgia cronica. La terapia farmacologica con antinfiammatori/antidolorifici può essere indicata nel periodo acuto, mentre è consigliabile fisioterapia o ginnastica posturale per alleviare i sintomi.
Nel caso i trattamenti conservativi non risultino efficaci, può essere indicato eseguire l’intervento chirurgico di decompressione ed artrodesi vertebrale, che consiste nel fissare con appositi mezzi di sintesi le vertebre lombari al fine di ridurre lo scivolamento. In centri di riferimento, l’utilizzo di tecnologie innovative come la Neuronavigazione spinale e l’imaging con TC intra-operatoria (O-Arm, AIRO) favorisce risultati ottimali riducendo la durata dell’intervento chirurgico e minimizzando il rischio di mal posizionamento dell’impianto.
L’idrocefalo normoteso è una forma di demenza curabile tramite un intervento chirurgico. Consiste in una dilatazione degli spazi contenenti liquor cefalo-rachidiano (ventricoli cerebrali) in pazienti con età superiore ai 55-60 anni, che presentano sintomi clinici riferibili alla triade di Hakim-Adams: deambulazione instabile, demenza, incontinenza urinaria.
La causa di tale patologia non è ancora ben definita. Tuttavia, è stato dimostrato che pazienti con idrocefalo normoteso presentano un alterato meccanismo di produzione/riassorbimento del liquor cefalo rachidiano, normalmente prodotto all’interno delle cavità ventricolari. Questa condizione è responsabile di un ampliamento delle dimensioni ventricolari, che si manifestano con i sintomi di cui sopra.
La diagnosi è spesso effettuata dal medico di medicina generale o dal neurologo, e confermata da segni specifici alla TC od alla RM encefalo.
In caso di sospetto idrocefalo normoteso, è necessario rivolgersi al Neurochirurgo, che effettuerà una valutazione clinica e strumentale semi-invasiva, di solito in regime di Day Hospital, utile a confermare la diagnosi (test di infusione e sottrazione liquorale, monitoraggio della pressione intracranica delle 24h, tests neuropsicologici).
Il trattamento dell’idrocefalo normoteso consiste nel deviare il liquor cefalo-rachidiano prodotto in eccesso o non riassorbito in cavità sterili dell’organismo, in particolar modo a livello peritoneale (derivazione ventricolo-peritoneale,spino-peritoneale), meno frequentemente in altri siti (derivazione ventricolo-atriale, ventricolo-pleurica).
L’intervento chirurgico garantisce una risoluzione dei sintomi caratteristici della triade di Hakim Adams, in primo luogo sul cammino, con risultati migliori se l’intervento viene eseguito entro 5 anni dall’esordio dei sintomi.
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